Robe Strane 2

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Arrivo dopo la polvere, come si dice da qualche parte, ma anche io arrivo. E stavolta per vivacizzare un po’ questo mortorio di blog vi voglio sottoporre (“propinare” sarebbe più corretto) una bella recensione!

E di cosa sento così forte l’urgenza di scrivere, da venire a disturbarvi nelle vostre comode casette con questo post? Ma della serie evento del trimestre, naturalmente! Se non si fosse capito sto parlando di Stranger Things 2, un prodotto così influente (e influenzato, come vedremo) che a ridosso della sua uscita ha attirato l’attenzione di parecchie aziende che hanno deciso di fargli ruotare intorno i propri post sui social media. E questo sarebbe di per sé molto interessante da trattare, visto che negli ultimi anni gli eventi social di una portata simile sono stati i mondiali di calcio, gli europei di calcio, le olimpiadi e l’uscita di film attesissimi, come i nuovi episodi di Star Wars; a questi si sono aggiunti, da che Netflix  e la serialità televisiva sono diventati così presenti nella nostra vita, anche i lanci di nuove stagioni di serie TV apprezzatissime come Gomorra e Narcos, per dirne due a caso.
E la recente sconfitta della nazionale italiana con relative perculate rivolte all’artefice della disfatta, ma pure in questo caso sempre di mondiali di calcio si tratta.

Ma torniamo a parlare di Stranger Things 2. Cos’è? Com’è? Merita?

Cos’è: è la seconda stagione, composta da nove episodi da 45-60 minuti circa, di una telefilm che racconta le vicende di alcuni abitanti di una inesistente cittadina dello stato americano dell’Indiana, tale Hawkins, sede di un laboratorio dove si sperimentano robe brutte brutte. Anzi, robe strane. Una di queste robe strane, sotto forma di bambina, riesce a scappare dal laboratorio dove sono successe altre robe strane, tipo la creazione di una frattura dimensionale (?) da cui scappa un mostro floreale con il pallino dell’antropofagia (?). La bambina ex-cavia incontra un gruppo di bambini piuttosto sfigati, si innamora di uno di loro e salva capra e cavoli coi suoi poteri telecinetici sbalorditivi. Eh sì, perché nel frattempo uno di questi ragazzini era stato rapito proprio dalla schifezza antropofaga che il laboratorio cattivissimo aveva prodotto, portandolo nella dimensione da cui proviene per conservarlo in dispensa; perciò i suoi amici decidono che devono salvarere il loro amichetto, facendosi aiutare dalla nuova arrivata e dai suoi mirabolanti poteri più, a vario titolo, da alcuni adulti (e questa, ovviamente, è una semplificazione estrema).

Concluse abbastanza felicemente le vicende della prima stagione arriviamo alla seconda, dove una nuova minaccia ancor più minacciosissima minaccia (verbo) la sonnolenta cittadina di Hawkins e i suoi giovani e meno giovani abitanti. Ritroviamo volti noti e conosciamo volti nuovi, catapultati in una vicenda di proporzioni leggermente maggiori e orchestrata con gran cura, dove ogni pezzo s’incastra perfettamente con l’altro. Per evitare spoiler indesiderati mi fermo qui, anche se il fatto di sapere chi arriva vivo alla terza stagione dà un certo gusto.
Ma non sarò certo io a dirvi che [OMISSIS] ovviamente muore, e pure abbastanza male.
Certo, non male come [OMISSIS nel caso non aveste ancora visto la prima stagione], ma sempre male.

Com’è: mettiamo subito in chiaro che la prima stagione mi era piaciuta molto, per tante ragioni. Intanto perché è scritta bene, poi perché i personaggi sono ben scritti e umani (quando li prenderesti a schiaffi per le minchiate che fanno si dice che i personaggi sono umani), poi ancora perché gli attori sono praticamente tutti fenomenali: gli adulti in particolare, ma anche i bambini, eccezion fatta forse per il protagonista de facto della stagione che ricorda un po’ un broccolo. La storia alla fine non è che sia così innovativa o sensazionale, essendo un mischione (omaggio, si dice oggi) di diversi film anni ottanta, ma è gestita bene (molto bene nella seconda stagione). Quello che però le ha permesso di fare il botto è quello che secondo me è il più grande, non dico difetto, ma non-pregio: l’ottantezza.
Ebbene sì, odiatemi pure, rigatemi la macchina, rovesciatemi i cactus, fatemi la pipì sullo zerbino nuovo. Non sto apprezzando granché questo ritorno agli anni ’80 che vediamo in tv e al cinema. Lo capisco, ma non lo apprezzo. Io in quegli anni ci sono nato e ci sono cresciuto, e come me la maggior parte delle persone che frequento, e come noi anche un buon numero di quelli che ora sono registi e sceneggiatori per il cinema e televisione; per questa ragione comprendo che scrivano di quello che conoscono e che hanno vissuto, ma non riesco a non vederlo come un trend piuttosto pigro che ora come ora è il modo più sicuro per fare soldi. E, nel caso di Stranger Things 1 e 2 mi sembra ancora più una paraculata (giuro che è un termine tecnico), perché a mio parere non c’è una ragione che sia una per ambientare la storia in quegli anni.

Ok, la prima stagione comincia con una partita a Dungeons & Dragons, un must per i nerd sfigati sociopatici di quegli anni, ma poi? Tutta la serie è una continua strizzatina d’occhio ai miei coetanei: guarda questo personaggio, te lo ricordi quell’altro che in quel film faceva più o meno queste cose? Guarda, ti ricordi che in quegli anni usciva quel film, si ascoltava quella musica, ci si vestiva in quel modo? Ehi, ti piace come abbiamo tirato fuori dalla naftalina quest’altro attore? Ma guarda un po’ quante citazioni per gli sfigati come eravamo noi e come quasi sicuramente sei anche tu che ti tiriamo fuori! Anzi, sta’ a sentire, abbiamo pure la sigla con un’orrenda musica elettronica anniottantissima!

Ma paravaffan…

Quello che voglio dire è che non riesco a togliermi di dosso l’impressione che questa storia si sarebbe potuta ambientare in qualunque epoca senza troppi problemi, e proprio per questo motivo più che una nostalgica dichiarazione di amore per quegli anni (e per il cinema di quegli anni, non dimentichiamo), mi sembra una furberia e financo una ruberia. Confezionata davvero davvero davvero bene, ma pur sempre una furberia.

Ma tornando a bomba, questa seconda stagione merita? Sì, perché aggiunge come si suol dire tanta carne al fuoco, ampliando la mitologia della serie, che è come si dice oggi quando si aggiunge tanta carne al fuoco, che a sua volta è come si dice oggi quando ci sono dei nuovi personaggi, sia buoni che cattivi, e quando si scopre che dietro gli eventi della prima stagione c’è tanto altro. Anzi, sottosopra *ammiccammicca. Nuovi personaggi che poi sono abbastanza stereotipati, perlopiù, ma spesso c’è quel quel guizzo di scrittura che non li relega a essere un copia carbone di quelli che popolavano il cinema anni ottanta. E lo stesso vale per la storia, che nonostante sia telefonata dall’inizio alla fine riesce a riservare delle sorpresine qua e là, in gran parte derivate alla chimica che si crea tra i personaggi. Insomma, sai fin dall’inizio dove andrà a parare ma non sempre come (e qualche volta, lo ammetto, nemmeno se).
E poi, ammettiamolo: ormai Stranger Things si è insinuata nell’immaginario collettivo e non c’è verso di schiodarla da lì; andrebbe vista anche solo per sapere di cosa tutti parlino, cosa sia un demogorgon e dove si trovi l’upside down. Ma anche se non fosse così rimane comunque un prodotto molto ben fatto, molto curato, sicuramente molto furbo ma anche molto piacevole da guardare – purché vi piaccia fare qualche (telefonato) salto sul divano – e, in fondo, acchiappevole.
E sì, aspetto trepidante anche io la terza stagione.

Prima di lasciarci, però, una menzione d’onore per Dacre Montgomery e il suo psicotico Billy Hargrove devo farla. Voi non capite. La mia eterosessualità vacilla.

Post scriptum: quanto scritto qui sopra si riferisce alla versione originale non doppiata. Non ho idea di quali siano le voci della versione italiana ma non posso che consigliare di guardare, quando possibile, i prodotti in lingua originale. Sapeste quante sfumature si perdono nel doppiaggio, figlioli e figliole, e quante altre vengono aggiunte per rendere tutto più divertente, più patetico, più qualcosa! No al doppiaggio, sì ai sottotitoli!

Post post scriptum: qualcuno noterà che in questa “recensione” non ho considerato nemmeno di striscio tutta la gigantesca questione dei rapporti fra personaggi, il valore dell’amicizia, le famiglie naturali e le famiglie “acquisite” eccetera. È roba grossa, è roba interessante, ma non mi andava di parlarne. Tiè. Magari in futuro, chi lo sa? E poi sono ancora turbato dalla lettura di IT e, scusate tanto, ma l’amicizia bene come lì dentro non è mai stata raccontata.

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